martedì 7 dicembre 2010

RISCOPRIRE IL VALORE DELL’EMPATIA

     E’ uscito, da qualche mese, anche nelle librerie italiane, pubblicato dalla editrice Mondadori, l’ultimo lavoro dell’economista americano Jeremy RIFKIN, dal titolo:”la civiltà dell’empatia”.
      Cos’è l’empatia. E’ la capacità di immedesimarsi nello stato d’animo dell’altro osservando e comprendendo la situazione prescindendo, per quanto possibile, dal proprio punto di vista per assumere quello dell’interlocutore. Più semplicemente diciamo “sapersi mettere nei panni dell’altro”.
      L’assunto dell’autore è che questa capacità, che da più parti viene concepita come qualità appresa, in realtà è innata. Siamo, per così dire, una specie animale che naturalmente tende a provare compassione, partecipazione, solidarietà. Le vicissitudini che accadono nel mondo, spesso drammatiche e la sollecitudine della gente nel soccorso: catastrofi naturali che colpiscono popolazioni inermi ma anche vicende legate a ideologie e/o sistemi governativi che, conculcando diritti fondamentali, inalienabili della persona umana, suscitano l’indignazione generale, dimostrano quanto sia spontaneo condividere problematiche e sofferenze di altre umanità pur distanti geograficamente e/o culturalmente da noi. Pensiamo, per esempio al coinvolgimento internazionale per il terremoto dell’Aquila, per quello di Haiti, per la recente alluvione del Pakistan, oppure alla solidarietà con la rivolta degli studenti iraniani o all’ampia mobilitazione  per Sakineh.
     Le diverse civiltà occidentali succedutesi lungo i secoli trascorsi, sempre più complesse e sofisticate, per crescere e prosperare, sono state dominate dall’ansia di appropriarsi delle risorse del pianeta sfruttando al massimo tali risorse nel tentativo di raggiungere il benessere materiale,                     trascurando sia il rispetto dell’equilibrio tra le esigenze del progresso tecnologico, sempre più spinto con le leggi della natura sia il dovere di ridistribuire la ricchezza, via via accumulata, con il resto della popolazione mondiale. Questa corsa alla depredazione delle risorse naturali nell’unico intento di accumulare ricchezza e potere, trascurando ogni altro criterio, è una delle principali cause dello sconvolgimento climatico al quale stiamo assistendo e le cui ricadute negative riguardano, purtroppo tutti gli abitanti del pianeta. Anche di coloro che non hanno usufruito dei benefici materiali dei popoli dell’occidente. D’altra parte l’esasperazione della contrapposizione fondata sulla difesa degli interessi corporativi non ha neppure sortito l’effetto di avvicinare le persone ed i popoli ma ha indotto a polarizzare di più le differenze fino al punto da non saper trovare posizioni concilianti o soluzioni intermedie  sia nel campo delle controversie internazionali sia nel settore della imprenditoria sia nel campo della politica. Il bene comune è stato sopraffatto dagli interessi di parte. E, come ha dichiarato ultimamente anche il Vaticano, non vi può essere pace senza il rispetto per l’ambiente.
      Ma, per fortuna, le forze distruttive dell’umanità, lungo il percorso evolutivo, trovano una compensazione nei processi storici che impongono all’uomo dei ravvedimenti obbligatori, delle conversioni necessarie dei propri comportamenti, pena l’autodistruzione o per la saturazione delle risorse naturali o per la reazione dell’equilibrio ambientale tradito oppure  per la ribellione di quelle popolazioni  che si sentono sempre più emarginate e costrette a subire continue violente depredazioni delle risorse del proprio territorio  ambientale ad opera di saccheggiatori più forti ed astuti.
     Oggi stiamo inconsapevolmente ma inevitabilmente vivendo una trasformazione mentale, una mutazione comportamentale mai vista. Dopo l’egemonia della civiltà agricola, dopo l’era dominata dalla rivoluzione industriale siamo coinvolti nella terza e più sconvolgente rivoluzione storica alla quale nessuno può sottrarsi perché divenuti tutti “cittadini del mondo”. L’universo ha assunto i suoi contorni naturali, non può essere più circoscritto al nostro territorio, alla nostra nazione o al nostro continente ma ci interpella e ci investe di nuove responsabilità nell’interesse generale. Facciamo tutti parte di una rete; siamo tutti nella stessa barca e nessuno può continuare a pensare che il suo mondo termina sull’uscio della sua casa o della sua città. Il mondo è diventato un “villaggio globale”, un universo che, inevitabilmente, va trasformandosi in una società multietnica. Questa nuova concezione è stata favorita da diversi fattori che inevitabilmente hanno rivoluzionato la nostra esistenza: i mezzi di comunicazione di massa, le innovazioni scaturite dalla tecnologia informatica, hanno portato alla nostra conoscenza, nelle nostre case, in tempo reale, la vita, le esperienze, le vicende della popolazione mondiale coinvolgendo emotivamente e concretamente ciascuno di noi e costringendoci a renderci conto che siamo interdipendenti. Il fenomeno della mobilità accentuata favorita dalla diffusione dai mezzi di trasporto sempre più rapidi, lo scambio di conoscenze, di lavoro, di esperienze nei vari campi delle scienze e delle tecnologie, la necessità di collaborazione nei diversi settori delle attività umane, la migrazione di popoli in fuga dalle loro terre o per riscattarsi da una esistenza indigente o per liberarsi dal giogo di dittature sanguinarie ci obbligano a fare i conti con una nuova visione che è quella della relazione e della condivisione. Nessuno può continuare a presumere di essere un’isola autosufficiente. Se volgiamo per un attimo lo sguardo al nostro Paese possiamo notare facilmente che alcune attività, oggi, sarebbero in sofferenza senza il contributo di tante persone extraeuropee che, con il loro lavoro, favoriscono la sopravvivenza e lo sviluppo della realtà imprenditoriale italiana. Il mondo può andare incontro ad una nuova e più proficua stagione se saprà giovarsi dell’apporto delle diverse culture per un ampliamento dei propri orizzonti. Il futuro dell’umanità sta ormai nella capacità dei popoli di incrociare ed amalgamare i destini di coloro i quali, attraverso percorsi a volte misteriosi, si trovano a condividere la stessa avventura e assieme possono determinare un progresso più equo e più giusto per tutti.
     E’ l’epoca della globalizzazione che costringe tutti a superare egoismi e particolarismi nell’interesse comune. Condividiamo tutti, infatti, lo stesso pianeta, tutti siamo chiamati ad utilizzare e sviluppare in maniera responsabile le risorse dell’ambiente e le scoperte della scienza e della tecnologia per rendere l’esistenza di ogni uomo più dignitosa. Siamo spinti a prendere coscienza che siamo tutti legati da un destino comune che rende i progressi e le sofferenze di ciascuno patrimonio e tribolazione di tutti. Non ci è più consentito, in altri termini, pensare solo localmente. E’ necessario, come si dice comunemente, “agire localmente senza perdere di vista la dimensione globale dei nostri gesti”.                
     Per “ironia della sorte”, dice Rifkin, “Il cambiamento climatico ci sta costringendo a riconoscere la nostra umanità” e a “condividere benessere e responsabilità nei confronti della biosfera e della società”. A far nostre le gioie e le sofferenze, le conquiste e le sconfitte di chiunque ha l’avventura di abitare il comune universo. Dobbiamo rifuggire dai meschini interessi che hanno governato la nostra mentalità nei secoli scorsi illudendoci di poter godere illimitatamente e irresponsabilmente, a nostro piacimento, delle risorse naturali, per giunta in modo egoistico e dispotico e assumere una nuova concezione del vivere umano: cooperazione, comprensione reciproca, solidarietà. La civiltà dell’empatia, secondo l’autore non può essere più concepita come una opzione ma come una esigenza comune. La congiuntura che attraversiamo ne è una conferma e ci obbliga, in qualche modo, ad estendere il nostro abbraccio empatico alla intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta in quanto tutti interdipendenti e cointeressati in modo indissolubile.
      Recenti studi internazionali ai quali hanno partecipato ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma guidati da Gabriele Schino, hanno dimostrato, in modo oggettivo che, non solo “le buone azioni esercitano un influsso reciproco sugli altri” ma che, l’indole empatica, non è patrimonio solo della specie umana ma appartiene anche al mondo dei primati i quali utilizzano comunemente lo spirito di cooperazione e solidarietà manifestando gesti di reciproco aiuto nell’interesse comune. Nelle scimmie è stato osservato che questa attitudine all’altruismo non è limitato all’ambito della consanguineità ma si estende al gruppo in modo indiscriminato, E’ il principio di reciprocità ben noto alla ricerca psicologica, attraverso il quale avviene una naturale pianificazione delle proprie azioni a lungo termine allo scopo di trarne benefici personali e comunitari: “io mi prodigo di favorire la risoluzione dei tuoi bisogni nella consapevolezza che tu mi ricambierai il favore”.
     E’ quindi anche una questione di interesse comune sperare in una umanità moderna che, a tutti i livelli, sperimenti gesti di condivisione e di conciliazione fugando la tentazione di inseguire vecchi e nuovi corporativismi. E’ una opportunità per tutti iniziare a concepire il “diverso” come una risorsa umana, culturale, economica, di arricchimento spirituale e religioso e non come una minaccia alle nostre idee, alle nostre conquiste, alle nostre credenze e/o pregiudizi.    
      Le difficoltà che a volte proviamo ad assumere questa nuova visione, se da una parte ci conferma che siamo intrisi ancora degli esiti di una cultura che ha privilegiato l’affermazione di sé e dei propri interessi a scapito dell’attenzione ai bisogni altrui, soffocando così questa attitudine naturale, dall’altra dimostra che  abbiamo bisogno di un tirocinio che ci aiuti ad andare sempre più velocemente e spontaneamente verso l’obiettivo dell’assunzione del senso di corresponsabilità. L’educazione può avvenire iniziando ad assumere ruoli sempre più partecipativi nel proprio contesto ambientale più prossimo: il proprio condominio, il rione, la parrocchia, le aggregazioni cittadine e le associazione a respiro comunitario ed ecumenico, il volontariato, la partecipazione alla vita sociale, amministrativa e politica della propria città e, progressivamente, allargare gli orizzonti entrando in sintonia con le sorti della intera umanità. Perseverare in un atteggiamento individualistico, in una concezione privatistica della propria esistenza e dei propri privilegi, diventerebbe, inevitabilmente, anche un “suicidio sociale”,-